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MEMORIA AVV. LOMBARDI

 

(presentata in difesa di 13 emittenti prima dell'udienza di merito del 2 ottobre scorso, in aggiunta al ricorso presentato a novembre del 2000)

 

Il provvedimento impugnato è illegittimo  perché basato sull'errato presupposto dell'esistenza di una regolare ed effettiva concessione per la radiodiffusione e, comunque, su una falsa applicazione delle norme regolanti la materia.

Il Ministero delle comunicazioni, in sostanza chiede alle emittenti locali il pagamento di canoni per il periodo dal 1994 al 1999, cioè per un periodo di cui alle emittenti , pur autorizzate transitoriamente all'esercizio delle radiodiffusioni locali, non era stata rilasciata una concessione che le abilitasse a trasmettere su determinate e precise frequenze.

Il diritto del Ministero a percepire il canone si concretizza soltanto nel momento in cui il Ministero stesso avrà adempiuto all'obbligazione di assegnare a ciascuna emittente una ben determinata frequenza che permetta agli ascoltatori una ricezione senza disturbi, così come previsto dall'articolo 3, comma 7, della legge n. 223/90.

Ciò discende da una corretta interpretazione dell'articolo 34 della legge 223/90, il quale, al comma quinto, prevede esplicitamente che le concessioni previste nella presente legge possono essere rilasciate solo dopo l'approvazione del piano di assegnazione" delle frequenze.

L'approvazione di detto piano, come è ben noto, non è ancora avvenuta, per cui, allo stato, vige il regime transistorio di cui all'articolo 1 della legge n.422/93, che prevede una concessione" della durata di tre anni; è evidente che non si tratta, nonostante il termine usato, di una vera concessione, bensì soltanto di una autorizzazione a trasmettere che riconosce uno status precario e provvisorio che non fornisce alcuna garanzia né sulla qualità della ricezione (disturbata da altre emittenti, anche sulla stessa frequenza), né sull'esercizio effettivo dei diritti spettanti ad un concessionario, e che non permette di essere certi che, dopo l'approvazione del piano di assegnazione, otterrà, in futuro, una vera concessione e per quale frequenza (questa potrebbe essere diversa da quella attuale).

Questo status precario, che non può, di certo, essere considerato una concessione" ha come conseguenza che l'impresa radiofonica non ha la possibilità di sviluppare un programma economico, il quale presuppone le certezze che solo un provvedimento amministrativo può dare. Ciò rende le piccole emittenti locali, con modesti mezzi e capacità economiche, molto vulnerabili e le pone costantemente sotto la minaccia della cessazione dell'attività.

In realtà, è avvenuto che molte emittenti non sono sopravvissute in questo stato di precarietà congenita e sono rimaste attive soltanto quelle che, sorrette dall'entusiasmo di elementi locali e aiutate da soggetti, pubblici o privati, interessati al mantenimento di un centro di diffusione di notizie e di scambio di opinioni nell'ottica locale, hanno mostrato una vitalità superiore ad ogni aspettativa.

Pertanto, l'assenza di una effettiva concessione comporta la non sussistenza di tutti i diritti della Pubblica Amministrazione e, in primo luogo, l'inesistenza del diritto a percepire un canone.

La pretesa del Ministero di conseguire il pagamento di un canone pieno è illegittima; da un lato, infatti, vi è una autorizzazione che, in qualunque momento, con l'approvazione del piano di assegnazione delle frequenze, può venir meno, dall'altro vi è il soggetto autorizzato che non ha la possibilità di conoscere se e quando otterrà una vera concessione.

L'ammontare del canone è fissato dalla legge soltanto a carico del concessionario, cioè del titolare di una concessione ben definita nell'oggetto e ben delimitata nel tempo (cinque anni, dieci anni, etc.) e non può essere applicato, sulla base di una inammissibile interpretazione analogica, anche alle situazioni precarie oggi esistenti di fatto.

Allo stato, l'Amministrazione ha, oltre i diritti del concessionario, anche quello di far cessare ad nutum il rapporto, mentre l'esercente della emittente radiofonica ha solo il diritto di vivacchiare, senza possibilità di espandersi e nemmeno di consolidarsi economicamente, con tiìotale mancanza di prospettive sulla durata del precario rapporto.

In queste condizioni, la pretesa dell'Amministrazione appare evidentemente iniqua, oltre che illegittima da un punto di vista giuridico.

Si confida, perciò, nell'accoglimento delle già precisate

CONCLUSIONI

Piaccia all'Ecc.mo TAR del Lazio, in accoglimento del ricorso proposto dalle imprese radiofoniche in epigrafe, annullare e dichiarare privo di giuridici effetti il provvedimento del Ministero delle Comunicazioni in ordine alle spese, competenze ed onorari del giudizio.

Con salvezza di ogni altro diritto, azione e ragione.

(Avv. Carlo Lombardi)

 


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