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Un altro pronunciamento inqualificabile
IL TAR DEL LAZIO GETTA LA SPUGNA

Una sentenza incredibile quella pronunciata dalla 2a sezione Ter del Tar del Lazio che conferma quanto fino ad oggi abbiamo detto e dimostrato nei confronti della giustizia amministrativa: di fronte a questioni di sostanza i Tribunali amministrativi regionali ed il Consiglio di Stato ben raramente mettono in mora l'amministrazione, i ministeri, i loro gestori ed il governo.
Dedichino un momento deputati senatori e giuristi a inquadrare quanto è successo ai danni delle imprese televisive e radiofoniche in favore della concentrazione del potere informativo in poche mani.
Nel 1994 furono rilasciate in gran fretta delle concessioni-burla dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni perché con una operazione che tendeva a favorire le grandi imprese, non vennero assegnate le frequenze di trasmissione nonostante la legge Mammì (223/90) stabilisse in modo tassativo che le concessioni non potevano essere assegnate in mancanza di appositi piani di "sistemazione" dell'etere (legge 223/90 articolo 34), affinché ogni stazione potesse disporre di un proprio punto di trasmissione per una "ricezione senza disturbi" (legge 223/90, articolo 3).
Le emittenti, dovendo scegliere se cessare le trasmissioni, perdere il posto di lavoro, licenziare gli occupati o accettare le condizioni ricattatorie imposte unilateralmente furono costrette ad accettare le carte senza valore spacciate per concessioni, rinviando nel tempo il pagamento dei salatissimi "canoni", a volte superiori addirittura ai ricavi di alcune piccole imprese.
Alla richiesta perentoria di pagamento avvenuta negli ultimi mesi dell'anno 2000, un gruppo di emittenti fece ricorso al Tar del Lazio che dopo molti mesi dichiarò - ignorando il mancato rilascio delle concessioni e trascurando di pronunciarsi in merito ad una operazione abusiva - che ad una "prima delibazione" risultava che la legge 223/90 prevedeva il versamento di canòni e tasse (sic!).
I ricorrenti a questo punto chiedevano un tantino indignati un nuovo pronunciamento chiaro "nel merito" da parte del Tar del Lazio sperando che la questione venisse affrontata alla sua radice. Invece, dopo quasi due anni di attesa e relative spese, il "Collegio giudicante" (tre persone) sentenziava che il ricorso era "inammissibile" per "difetto di giurisdizione" e perché in parte tardivo.
Sembra di sognare, a parte la domanda sui motivi che hanno impedito di giudicare "inammissibile" il ricorso già durante il primo pronunciamento facendo risparmiare ai ricorrenti tempo, fatica e soldi, il "collegio" composto dal presidente Gianni Salvatore Leva e dai consiglieri Paolo Restaino e Giancarlo Luttazi - quest'ultimo pure relatore - messo di fronte alle stringenti argomentazioni dell'avvocato delle emittenti professor Carlo Lombardi che nella sua memoria finale dimostrava senza ombra di dubbio l'inesistenza delle concessioni di cui si pretendevano i cànoni, non trovava di meglio che lavarsene le mani.
Una sentenza che - fatte le debite proporzioni - la si potrebbe assimilare alla meschina contestazione di un grande pensatore non basandosi su di una seria esegesi della sua opera ma su di un difetto di sintassi commesso nello stendere per iscritto le sue tesi.
E' questa la giustizia amministrativa di cui abbisogna il nostro paese?
Considerato che nel mondo politico e della cultura i Ponzio Pilato abbondano non sarebbe utile per tutti disporre di una giustizia amministrativa che traesse ispirazione da quella anglosassone (prima maniera perché da qualche tempo anche in quei paesi che ne erano l'espressione è in atto un processo involutivo) per dare un minimo di sicurezza e di imparzialità ai cittadini senza essere costretti a ricorrere alla Corte di giustizia delle Comunità europee? E' chiedere troppo?

 


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